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- Intervista a Joseph Viglioglia
È con grande piacere che iMasterArt vi riporta, grazie a questa intervista, qualcosa in più su di sé.
Attraverso il racconto di particolari episodi di vita e riferimenti all'arte del fumetto, potrete conoscere meglio e scoprire alcune curiosità riguardo uno dei fondatori della nostra Accademia.
Joseph Viglioglia infatti, oltre ad essere Coach Leader all'interno del nostro corpo docenti, in qualità di Illustrator e Comics Artist, è anche uno dei padri di iMasterArt.
Vi proponiamo allora questa intervista di Silvia Geroldi pubblicata sul suo sito Measachair; dedicato all'arte e alle discipline umanistiche, come avrete modo di scoprire proseguendo nella lettura, il blog fa parte di un progetto che ruota intorno alla sedia in quanto "oggetto fisico, simulacro, pretesto di dialogo e di racconto".
Joseph Viglioglia è una figura molto interessante, perché unisce tradizione e futuro del fumetto. Dalle atmosfere noir di Brendon per la Sergio Bonelli Editore (per cui disegna da diciotto anni) al mondo fantasy de I Tarocchi di Avalon, dal techno-maya di Mayapan all’insegnamento professionale delle tecnologie digitali applicate all’illustrazione, al fumetto e all’animazione. Questa la bio classica.
Poi c’è la mia impressione: Joseph è un vortice di immagini, rassegne/festival/incontri/presentazioni che ruotano intorno al fumetto, molte tazze di caffè, gran lucidità su tutto ciò che è processo creativo e fare artistico, padronanza tecnica da far strabuzzare gli occhi. Inoltre, è un gran motivatore, gli viene proprio spontaneo (e funziona!).
Questa chiacchierata è partita in estate ed è un vero e proprio viaggio nel mondo del fumetto. Non ho linkato approfondimenti su tutti gli autori citati perché avrei rimandato ulteriormente la pubblicazione dell’intervista, ma invito davvero all’immersione nelle suggestioni regalate da Joseph. Quanto a me, sono stata autorizzata dall’intervistato a fare domande da sprovveduta e non mi sono tirata indietro, divertendomi molto. Buona lettura!
Siediti e dicci: chi sei, cosa fai?
Mi chiamo Joseph Viglioglia (conosciuto con molti nomi, ormai, anche come Joseph Vig o Eon) e sono un artista.
Da più di vent’anni disegno fumetti e illustro, e da alcuni anni curo la direzione artistica della mia Accademia di Arti Visive Digitali.
L’attuale avatar di JV su Facebook, non è bellissimo?
Nella mia infinita ignoranza, sai che ho un’idea vecchia e romantica del fumetto: il bianco e nero, la serialità, il collezionismo… Smentiscimi, ma senza parlare di graphic novel.
Vedi? Ora chi non legge fumetti non solo lo ammette, ma chiede anche scusa per questa sua “mancanza”! I tempi cambiano e io adoro i cambiamenti. Le evoluzioni.
Beh, il fumetto nasce in Black/White. Poi arriva il colore, orribile, stampato con i piedi, fuori registro, colori piatti e saturi fino all’impossibile (anche se allora rappresentava un grande passo in avanti nell’evoluzione della stampa e dell’Arte Sequenziale – vedi Will Eisner – e nell’arte commerciale in genere).
Il Fumetto o Letteratura Disegnata, come la definiva Hugo Pratt, il papà di Corto Maltese, parte davvero da un’idea romantica del raccontare storie, che intrattengano e divertano. Semplicemente.
La serialità è parte integrante e integrata di questo Medium meraviglioso, e non lo limita affatto, anzi. La serialità dà modo a ciascun Autore (che scriva, disegni…) di sviluppare una propria grammatica comunicativa col pubblico, potendo così stabilire un rapporto privilegiato con i suoi lettori.
È una grammatica che ha modo di evolvere col tempo, e tutto questo di concerto con i suoi fruitori che cambiano anch’essi e si evolvono quasi in simultanea; si sviluppa una sinergia strana ed affascinante e quando riesce ecco che dà vita a qualcosa che diventa addirittura fenomeno Pop: come Tin Tin in Francia o Spiderman negli USA o Akira in Giappone o Dylan Dog qui da noi.
Ed è ancora molto altro. E senza parlare – ancora – di Graphic Novel.
Brendon
Sempre della serie “domande ingenue” (mi hai accordato il permesso, ricordi?) parliamo di quelli che io immagino come limiti del mezzo. Non ti pesa la serialità, non ti senti a volte in gabbia dal punto di vista creativo? Ed anche: non ti infastidisce la dimensione “consumabile” del fumetto, che vive di lettura veloce e carta spesso scadente?
Credo di aver già risposto in parte, prima. Ma per dirne di più…
Tu parli di “gabbia”, cioè creativa, che poi credo sia la più scomoda e “intrappolante”. L’Autore o l’Artista, che poi sono la stessa cosa, vive in questa gabbia e la odia. La odia perché ci si è ritrovato dentro, suo malgrado. Perché se l’è costruita con le sue stesse mani. Perché ce l’hanno infilato dentro di forza!
E l’adora, perché è il Luogo privilegiato dove poter lavorare ed esprimersi “liberamente”. E’ la sua nicchia di mondo che non baratterebbe con null’altro. Parliamo di gabbie di artisti, di gente matta, di creature particolari, così fragili e potenti da dare i brividi. Cerco di spiegarmi meglio.
Tutto ha inizio quando la tua gabbia è la tua cameretta, a casa, dove disegni e ti scrivi le prime storielle a fumetti. Poi diventa, se sei molto fortunato, il tuo studio, dove disegni quintali di pagine ogni anno. In seguito la tua fama, grande o grandissima che sia, diventa anch’essa una gabbia, che ti circonda in ogni dove. Sei l’autore del personaggio X di successo, che diventa verde quando si arrabbia o l’autore di donnine discinte e sensuali o sei l’autore di racconti fantastici e un po’ strampalati o quello che ti sa far ridere o impaurire… Insomma, sembra che tu possa essere “solo” quella cosa lì. Conoscono bene questa realtà gli attori, che lottano per metà della loro carriera per affermarsi come professionisti e l’altra metà come Artisti, completi, capaci di essere molto di più delle ridicole etichette appiccicate loro dai luccicanti/famigerati mass media.
Ma per tornare alla gabbia, essa è necessaria per creare, non solo per le ragioni che ho descritto prima, ma anche perché spinge il suo inquilino ad inventare continuamente nuove soluzioni ”escapologiche” per riuscire a svignarsela, da questa gabbia dorata che lo affligge e lo protegge e perché -soprattutto – la sua Creatività non si inaridisca o, peggio, muoia.
Siamo novelli Houdini che fuggono da loro stessi per raggiungere un “io” più profondo e sincero al quale dare voce!
Alan Moore Portrait
Convincimi a diventare una “consumatrice” e indicami un percorso convincente. Sempre senza parlare di graphic novel (sono ingenua ma un po’ fetente, mi rendo conto).
Beh, i percorsi, quelli giusti, sono sempre individuali. Ti dirò il mio.
In casa mia si leggeva poco, se non quotidiani, così di fumetti neanche l’ombra. Li scopro quando ho già 8/9 anni. Supereroi.
Daredevil. Un albo gigante della Corno (un editore che appartiene a qualche era geologica fa). Mi piace subito, senza riserve e non so perché. Da quel momento cerco volumi tascabili e non, basta che abbiano disegni e parole insieme. Cerco Topolino e Paperinik. Cerco Asterix prima e Tin Tin poi. Ma è Moebius che mi folgora e subito dopo Bilal (il suo figlio artistico di maggior riuscita, che si distaccherà dal Maestro nel giro di pochi anni, con la forza e il carisma che gli appartengono). Sono Artisti esponenti della Ligne Claire franco belga. Ma sono molto di più di questo. Sono dei rivoluzionari e così tutto il gruppo Metal Hurlant, a cui appartengono, compresi Mezieres e Druillet che mi sconvolgeranno di lì a poco. Il gruppo MH insegna al mondo che il fumetto non è solo intrattenimento per bambini ma che può esserlo anche per gli adulti, con tematiche fantastiche ma con una chiave di lettura molto più sincera e matura. Senza compromessi. Questi Artisti non lavorano per un committente o un editore ma lavorano per se stessi! E lo fanno col massimo impegno possibile, con una dedizione sconvolgente, senza compromessi o sottostando al dover soddisfare i bisogni commerciali di chi stacca loro l’assegno per disegnare. La loro è una Rivoluzione che ha eco in tutto il mondo. Da qui nascono i magazine contenitore che raccolgono le opere di autori provenienti da tutto il mondo. Opere adulte, aggressive, violente, avventurosissime o intimiste. Nei magazine io scopro Artisti incredibili come Alberto Breccia, Richard Corben, Juan Gimenez, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Hugo Pratt, Alan Moore, Neil Gaiman, Attilio Micheluzzi, Josè Munoz, Bill Sienkiewicz, Frank Miller, Mike Mignola, Dave McKean e Andrea Pazienza. Insomma la creme dell’Arte sequenziale. Così, ogni mese vado a caccia di Opere, Autori, Personaggi che mi facciano sognare e “ragionare” su questa cosa chiamata “Fumetto”. Mi avventuro sempre più nell’Opera di alcuni autori che mi stimolano e mi spingono più di altri a cercarmi come Artista. E titoli sopra ogni cosa. Titoli che a volte non sono neanche i più rappresentativi agli occhi dei critici/addetti ai lavori ma che in me suscitano più che mai una voglia di esprimermi. Ecco allora “Sulla stella” di Moebius, “La donna trappola” di Bilal, “Valerian” di Mezieres, “Mort Cinder” di Breccia, ”Gargantua” di Battaglia, “Blues” di Toppi, “Asterix contro Cleopatra”di Uderzo e Goscinny, “Il quarto Potere” di Gimenez, “Pompeo” di Pazienza, “Corte sconta detta arcana “ di Pratt…
Cold War
Come alimenti la tua creatività? Disegni quando non lavori?
Come alimento la mia creatività? Semplicemente vivendo.
In questo preciso momento, mentre rispondo alle tue domande, arrivano sollecitazioni, immagini, frasi, ricordi, momenti scavati nella mia memoria che riaffiorano, si fanno strada nella mia testa e invogliano le mie mani a “fare”. Ecco come alimento la mia creatività.
Disegno sì, anche. Sono ad un punto della mia vita che disegno perché voglio fare qualcosa di preciso. Ho un’illustrazione in testa. Un’immagine che mi fa compagnia e mi spinge a materializzarla sulla carta o sul video. Non disegno tanto per disegnare, questo no. Ma a pensarci bene, non l’ho mai fatto, se non per un periodo della mia adolescenza. Quando disegnavo per disegnare era sempre un’esperienza negativa, frustrante, inconcludente. Io ho bisogno di disegnare qualcosa che “deve essere” disegnato. Credo sia uno stato di grazia che si ripresenta ogni volta che c’è da dare forma a qualcosa e che è strettamente legato all’essere un artista e non solo un mestierante del disegno. Ho bisogno di una spinta, di un bisogno di esprimermi. È come amare: non amo tanto per amare, per passare il tempo. Amo perché voglio amare! Disegnare senza un “perché” appartiene all’essere un neofita. Ed è incredibile, perché sento di non esserlo mai stato, in verità, cioè non sono mai stato un “pittore della domenica”. Non sono uno che passa il tempo disegnando, ma che vive il disegno con piena intensità emotiva e mentale! Non scorderò mai le parole del mio insegnante di Figura al liceo artistico, Giorgio Ferralasco, che una volta mi abbaiò contro “ Non si disegna mai tanto per disegnare!”. Aveva ragione: se vuoi ottenere un risultato importante devi impiegare un impegno importante. A lui confidai per la prima volta che volevo diventare un disegnatore di fumetti. Lui mi sorrise e mi disse “e allora dovrai dedicargli la massima dedizione”.
My best friend
Tu non sei solamente un fumettista ma anche un insegnante di tecnica digitale. Esiste la dicotomia fumettista=artigiano/pop vs illustratore=artista/intellettuale? Le due figure si stanno avvicinando? Sono intercambiabili?
Sì, nel 2011 ho fondato insieme ad altri 2 soci (Marco Natale e Giorgio Xhaxho) la iMasterArt, un’Accademia di Arti Digitali che si occupa di formare a livello professionale nuovi artisti per tutto ciò che riguarda l’universo grafico odierno: Character Design, Video Games Production & Design, Illustrazione Digitale, Maya, Nuke, Houdini, Visual FX, Motion Graphics Design, Fumetto.
Ora, la dicotomia di cui parli non è mai esistita in realtà. Chi spinge in questa direzione o non sa di cosa parla per ignoranza oppure mente sapendo benissimo di mentire.
Fare Fumetto è difficilissimo e fare Illustrazione è difficilissimo. Vero è che raccontare una storia, strutturare una sequenza, banalmente disegnare i personaggi sempre correttamente e sempre rassomiglianti a se stessi dall’inizio alla fine del racconto è davvero complesso, per non parlare del fatto che bisogna conoscere l’anatomia dinamica, le inquadrature, saper caratterizzare i personaggi, imparare a disegnare i panneggi dei vestiti, conoscere le regole della prospettiva, intendersi di architettura, fare proprie le regole della teoria delle ombre, conoscere bene il chiaroscuro e saper magari colorare e concertare una pagina graficamente in modo corretto… Insomma un’impresa titanica!
Direi che l’aspetto artigianale è certamente alla base di entrambi i lavori e che sempre più i due medium si influenzano a vicenda.
I fumettisti sono sempre più illustratori, da Corben a Moebius, da McKean a Sandoval, da Battagla e Toppi a Marini e De Vita, da Frezzato a Boucq e Giardino… E gli illustratori sono sempre più fumettisti: da Liberatore a Fernandez, da Carnevale a Djurdjevic, da Segrelles a Ross.
Io stesso non so più dove collocarmi, e questo mi rincuora!
Tutto ruota, secondo a me, intorno al fare Arte. Puoi farlo disegnando strisce giornaliere per un quotidiano o essere un pessimo artista, anche se hai a che fare con colori e gallerie. O sei un Artista o non lo sei. Poi sta a te scegliere come esprimerti.
Little red riding hood, tecnica digitale
Adesso sì, parliamo di graphic novel! Non sei mai stato tentato da questo ibrido narrativo? Ti piace, ci sono opere che ti hanno colpito?
Sì, sì mi piace tantissimo! Credo che rappresenti il futuro del Fumetto e paradossalmente ciò che più affonda in profondità le proprie radici nel passato.
È una forma di Fumetto molto personale, intima e allo stesso tempo estremamente popolare.
Il Graphic Novel esiste da sempre, non è un’invenzione dei nostri giorni. Ed esiste anche in universi notoriamente popolari, come quelli dei supereroi. Penso subito a “Watchmen” di Moore e Gibbons, che arriva dritto dagli anni ’80. “Sandman” di Gaiman e McKean e tanti artisti a seguire. “Ronin” e “Il ritorno del cavaliere oscuro” di Miller. Come non parlare di “Contratto con Dio” di Eisner… Fino ai nostri meravigliosi “Corto Maltese” di Pratt e “Jonas Fink” di Giardino. E Roca e Thompson e Gipi e Ausonia.
Si può raccontare se stessi attraverso il proprio vissuto, ma anche con eroi immaginari. Ogni volta che noi raccontiamo qualcosa raccontiamo noi stessi. C’è chi lo fa in prima persona come Pazienza e chi lo fa con un personaggio in costume. E sono tentato di confrontarmici con il Graphic Novel, lo ammetto.
Live painting al Lucca Comics & Games 2014
Ci siamo incrociati su facebook ironizzando sugli adolescenti che su tumblr esprimono il disagio attraverso immagini di sofferenza esistenziale e fisica. Tutto l’immaginario dark degli anni ottanta, insomma, solo espresso attraverso immagini più sofisticate (da intendersi nella doppia accezione) via social media. Tu insegni, li vedi da vicino questi ggggiovani: di che immagini si “nutrono”, cosa “consumano”? Cambia qualcosa rispetto a noi, rispetto a te e alle immagini che ti hanno formato?
I “ggggiovani” siamo noi adulti. Loro sono ciò che eravamo noi qualche anno fa e saranno ciò che noi siamo divenuti dopo tante cicatrici, esperienze traumatiche ed esaltanti, dopo i tanti “no” e i “Sì” che hanno modellato il nostro modo di “essere” e di “sentire”. In loro vedo me stesso, semplicemente; confrontarmi ogni giorno con i loro dubbi, le loro speranze, le loro fobie, i loro sogni, la loro forza e la loro debolezza, mi aiuta a calibrare il mio “centro di gravità permanente” (per citare Battiato); cercando giorno dopo giorno nuovi stimoli e al contempo dando un supporto credo indispensabile ai miei allievi, per aiutarli a crescere come artisti ed individui.
Suona un po’ altisonante, me ne rendo conto, ma è di Crescita che stiamo parlando, una roba imprescindibile per affrontare con successo una vera formazione artistica e tecnica. Quello di cui parlo è insegnare ad avere una forma mentis vincente per affrontare le difficoltà nel mondo del lavoro e nella vita.
Una volta, un mio ex allievo mi disse che secondo lui ciò di cui hanno bisogno i ragazzi è quella cosa chiamata Mentore.
Così, ti ritrovi ad essere un punto di riferimento nel loro percorso di apprendimento. E vivere non è forse un lungo percorso di apprendimento?
Under the rain
Non abbiamo ancora parlato di sedie, ti tocca. Ci descrivi la tua postazione di lavoro, sedia compresa ovviamente…
Un grande tavolo in legno (adoro il legno, è una cosa viva, che respira) con sopra tantissime matite, tantissimi pennarelli e pennelli e boccette di colore e china e fogli di carta disegnati e non e cavi elettrici a cui sono collegati il mio iMac e la Cintiq; scatole di caramelle e cuffie stereo per ascoltare la musica, anche se l’ascolto sempre più con casse stereo alle quali collego il lettore mp3 o un vecchissimo lettore cd o l’iphone.
Una lampada d’acciaio (amo molto anche questo metallo) montata con un morsetto al tavolo.
Una finestra, grande, accanto al tavolo (a sinistra, perché la luce provenga da questa direzione visto che disegno con la destra).
E una comoda poltrona in pelle con un’anima in acciaio (senza rotelle, non amo che la sedia si muova e mi porti dove pare a lei, sono io che decido dove dirigermi ogni volta).
Non ridere, lo chiedo a tutti: tu che sedia sei? Poltrona, sgabello, divano, sdraio… vale tutto.
Io sono una grande sedia di vimini, quella su cui si sedeva Corto Maltese, davanti a un mare caraibico. Grande, comoda, ma dentro la quale non rischi di sprofondare e che ti aiuti a pensare.
Monique
Nella tua vita hai mai incontrato persone che son state per te una sedia?
Certo! Le donne della mia vita.
Mia madre.
La mia compagna.
La mia ex insegnante di fumetto.
E sono state una sedia a cui appoggiarmi per non venire sopraffatto dalla morte le donne che mi hanno letteralmente salvato la vita. A 3 anni venni investito da un automobilista che stava facendo marcia indietro, mentre io ero a terra a giocare; mi ritrovai incastrato sotto, con una ruota che mi schiacciava l’anca e che mi impediva di muovermi. Lui, ovviamente, non si accorse di nulla, così ingranò la marcia pronto a partire (cosa che mi avrebbe certamente ucciso). Chi mi salvò furono le sue due figlie che vista la scena accorsero urlando e sbracciandosi perché il padre non partisse. Più “sedie” di così.
Ci regali una sedia della tua vita?
Sono in camera dei miei. Ho 8 anni e passo le mie giornate a leggere di isole trovate e di galeoni spagnoli da saccheggiare e di pirati senza una gamba con occhi di fuoco e una rabbia che scorre loro nelle vene. Mi dondolo sulla sedia a dondolo della mia mamma. Una sedia che abbiamo ancora adesso, in legno, che scricchiola ad ogni movimento, e che mi regala la magia del viaggiare con la forza della fantasia e dei miei remi.
21 Nov 2014